non solo in allevamento: anche in campagna domina l’agricoltura intensiva

Si parla sovente di allevamenti intensivi ma il “metodo intensivo” lo possiamo osservare facilmente anche nelle campagne. Pratiche impattanti nell’ambiente e sempre più spesso messe in relazione ai cambiamenti climatici.

Dedico molto del mio tempo ad incontrare ed intervistare le persone che tutti i giorni si dedicano, con sacrificio e passione, ad un lavoro che è diventato sempre più complesso.
Ciò che in passato era scontato e cioè la logica dei clicli naturali, oggi deve essere spiegata, occorre giustificarsi ed alla fine confrontarsi con quello che è assunto ad unico metro di valutazione: IL PREZZO.

Cos’è l’agricoltura intensiva

agricoltura intensiva

Per definire l’agricoltura intensiva prendo questo nozione presa da:

http://www.idaic.it/agricoltura-intensiva.html

L’agricoltura intensiva è quindi in definitiva un’attività economica che si propone di mettere in atto dei processi in grado di produrre, nel modo più razionale, efficiente e conveniente, dei beni primari richiesti dal mercato. L’agricoltura intensiva si ripropone di ottenere il massimo rendimento per ettaro. E’ un’agricoltura industrializzata, condotta e gestita in una prospettiva aziendale, tutta protesa alla commercializzazione di prodotti destinati a soddisfare i bisogni delle grandi città.
Per raggiungere tale obiettivo utilizza al meglio gli strumenti che la scienza agronomica mette a disposizione, ferme restando le implicazioni negative di una pratica agricola intensiva troppo spinta  e della necessità talvolta di un’agricoltura sostenibile, come unica via per rispettare l’ambiente, la biodiversità e la naturale capacità di assorbimento dei rifiuti della terra.

Ne ho parlato anche recentemente in un’intervista (pubblicata sul mio canale youtube) con Vinicio Zaggia, agricoltore e allevatore in provincia di Padova che dal 1996 è impegnato nella riqualificazione dei terreni e degli allevamenti in Biologico.

E’ proprio lui a dirci che bisogna tornare a comprendere i cicli naturali, perché solo in questo modo possiamo avere il loro controllo e godere dei frutti della terra.
Ciò non comporta solamente il ripristino dei clicli naturali e non forzati, ma anche ad esempio la piantumazione dei terreni con aree verdi o boschive, il ripristino delle fasce tampone…tutto questo allo scopo di favorire il ritorno di una micro-fauna utile ad ospitare gli antagonisti naturali dei parassiti dei terreni con conseguente diminuzione progressiva della quantità di chimica impiegata e sparsa negli appezzamenti di coltivazione.

il rischio è di ritrovarci terre sterili

Ma continuare ad impoverire i terreni, dice Carlo Petrini, e togliere la vitalità, humus,  finirà per portarci alla sterilità degli stessi. Allarme ribadito anche da COP 21 (conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici). Un articolo pubblicato su Focus, ci spiega che il 33% dei terreni coltivabili è stato distrutto negli ultimo 40 anni.

il professor Duncan Cameron, che insegna biologia alla Sheffield University ha dichiarato:

Il suolo viene degradato e distrutto rapidamente, ma si rinnova solo in ampi lassi temporali. Si parla di millenni, e «questo rappresenta una delle più grandi minacce globali per l’agricoltura».

Si parla di esternalità negative legate all’agricoltura. E dunque…una volta che io ho sfruttato il mio terreno, in quanto tempo lasciato in condizione normali questo ritorna alle sue origini? Questo è ciò su cui dobbiamo lavorare e farci domande.

La terra con le proprie piante è un filtro naturale, cerca di ripristinare gli equilibri, di “ricucire”  la disgregazione dei terreni… Ma se noi la impoveriamo, facendo piazza pulita di zone verdi e fasce tampone e continuando ad invaderla con pesticidi, come potremmo mai pretendere che rimanga fertile e vitale?

Pesci, Rane e lucciole… sono rimaste solo nei nostri ricordi

E se ci pensate questo allarme lanciato da parte di ricercatori ed esperti trova conferma quotidiana nell’esperienza di tanti di noi… Vi racconto brevemente quanto ho potuto osservare direttamente…

Sono venuto ad abitare in questo piccolo paese in provincia di Ferrara nei primi anni ’80. Vicino a casa mia c’era e c’è tuttora un grande canale. Ci passavamo interi pomeriggi a pescare… e cosa si pescava?  Alborelle, orate d’acqua dolce, pesci gatto, tinche, carpe ed addirittura, colte in notturna, le anguille….insomma una varietà incredibile di specie acquatiche.
Ma quello di cui era ricco il canale ed i piccoli fossati delle campagne Focomortesi (già il mio paese si chiama Focomorto) era la grata o gratina, questi piccoli puntini verdi che rimanevano in superficie sull’acqua spesso attorniati da quelle belle foglie grandi anch’esse galleggianti.

Queste distese verdi acquatiche erano habitat e rifugio du un’immensità di rane, che di notte gracidavano… era come un concerto. La sera poi …si riempiva tutto di lucciole, insomma era uno spettacolo.

Bene, ora non siamo ancora nel 2020 e sapete di tutto questo racconto cos’è rimasto? Penso che sia comune per tutti… NULLA se non il ricordo!
Niente più rane, niente più piante acquatiche, niente più specie di pesci citate. Ora in tanti dicono che i problemi e le cause sono mille, ma sappiamo benissimo che pesticidi e quant’altro hanno dato il loro contributo negativo.
Quindi i grandi esperti parlano di 40 anni, ma nel mio caso sono molti meno.

Agricoltura intensiva: a che prezzo?

Per carità le campagne sono rimaste, ma il panorama ed i suoni sono sicuramente cambiati. Non serve scomodare scienziati e climatologi, basta avere qualche ricordo ed osservare quanto ci circonda
Certo, c’è chi ci fa notare che ora ci sono più aironi che mangiano le rane, le gazze che mangiano le uova dei passerotti e quindi anche questi non si vedono praticamente più. Ci spiegano che le rondini che osservavamo a frotte solo a  fino 10 anni fa, ora fatichiamo ad avvistarle, ma che forse è colpa loro che non riescono più a trovare la strada della migrazione…

Ma non sarà che l’inquinamento che si è prodotto nelle campagne e nelle stesse acque abbia avuto ed abbia tuttora un RUOLO DECISIVO in questo IMPOVERIMENTO?

Cioè tutti ne parliamo ma raramente sento attribuire alle pratiche intensive una responsabilità diretta di questi mutamenti… sembra quasi che in agricoltura non si faccia uso di pesticidi o erbicidi.
Eppure nel 2018 Jacopo Gilberto su IlSole24Ore, ha scritto un bellissimo articolo dove riporta le sostanze chimiche che comunemente ormai si trovano nelle nostre campagne e nelle acque superficiali, e non solo… anche nelle falde!

La mia conclusione è che sicuramente con l’intensivo si aumenta la redditività di produzione per ettaro, ma la domanda è… A che prezzo? E per quanto tempo ancora?

 

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