Il Cotechino di “Piazza Duomo”: il confine tra tradizione e interpretazione

Il Cotechino: Re delle nostre tavole invernali, conosciuto e diffuso ormai in tutta Italia è diventato quasi un “sex simbol” delle tavole nel giorno di festa.

La sua è un’origine antica, nasce dal recupero delle parti povere del suino (di cui, come si sa, non si butta via nulla). Qui la protagonista è la cotenna che predomina nell’insaccato, ma la vecchia ricetta vuole che si usi anche il musetto del suino, in grado di conferire grande collagene e sapore.

Faccio questa premessa giusto per spiegare rapidamente di cosa stiamo parlando ma credo che ben pochi non conoscano questo insaccato…

Ora però vorrei raccontare una mia recente esperienza, vissuta in un ristorante di fama mondiale.

Il “Cotechino rivisitato” di Piazza Duomo

Il ristorante in questione è i celeberrimo Piazza Duomo condotto dallo Chef Enrico Crippa,  tre stelle Michelin, inserito nelle classifiche dei migliori 50 ristoranti al mondo.

La settimana scorsa mi sono dunque recato in quel di Alba curioso di provare i piatti del ristorante e di apprezzare l’estro dello Chef, la fantasia e la trasformazione della materia prima.

Tutto veramente bene per quanto riguarda la rivisitazione dell’antipasto Piemontese, un trionfo di portate e piccoli assaggi dove tecnica e fantasia si sono mescolate nella rivisitazione delle ricette classiche. Design ed impiattamenti a volte anche molto distanti dal piatto di tradizione, ma il ricordo, l’ispirazione era percepibile e molto apprezzabile.

In realtà non vorrei descrivere troppo dettagliatamente composizione e tecnica delle portate, onestamente nessuna di esse mi è rimasta particolarmente impressa ma complessivamente la cena è stata soddisfacente; vorrei invece tornare all’oggetto dell’articolo…il COTECHINO

Uno dei piatti propostoci  è stato proprio il cotechino, ma eseguito in modo del tutto insolito, inusuale e TOTALMENTE stravolto.

cotechino rivisitato Crippa

Il “Cotechino rivisitato” di Piazza Duomo

Ne rimane un piccolo sacchetto contenitivo, dove all’interno vi è posto l’impasto e al di sopra  un piccolo occhietto di tartufo, il tutto immerso in brodo.

Di primo acchito, sentendo la ragazza che ci serviva al tavolo descrivere il piatto come COTECHINO rivisitato, sono rimasto molto sorpreso e incuriosito.

Alla vista il piatto risulta curato, pulito e abbastanza elegante, senza eccessi.
Confesso che una presentazione ed una visuale così spiazzante mi ha reso ancora più impaziente di coglierne il gusto…

Beh! del cotechino ho avvertito un lieve sentore, come una fragranza non troppo accentuata, ma nel complesso non male. Non ho sentito il tartufo, forse perché  il calore del brodo ne ha smorzato un po’ il sapore.

Il sapore tipico del cotechino viene avvertito mantenendo queste piccole sfere in bocca oppure  come retrogusto.

Chiaramente siamo molto lontani dal nostro mitico salume servito con il purè, sia come gusto, tipicamente pieno e deciso sia come forma, ma la sperimentazione, l’innovazione sicuramente c’è stata.

A mio avviso un po’ troppo estrema.

“rivisitare” la Tradizione: qual’è il confine oltre il quale di tradizionale rimane solo il nome?

A mio parere o a mio gusto personale, di un piatto tradizionale “rivisitato” mi aspetto ed apprezzo molto il lavoro sul design, l’impiattamento, anche la forma, oppure nuovi abbinamenti e accompagnamenti, MA il gusto di base deve essere (o dovrebbe essere, a mio parere) quello che ricorda la tradizione.

In un piatto del genere quindi, apprezzo la creatività e la ricerca di forme nuove ma la rotondità, il gusto, il sapore, la decisione che lascia in bocca il cotechino in questo caso mi è proprio mancata. Se all’assaggio le piccole sfere avessero restituito intensità e “l’esplosione” beh.. allora “WOW” certo su tutte le portate il “cotechino rivisitato” sarebbe stato IL piatto del ricordo…invece mi è parsa un’occasione mancata.

cotechino Rizzieri

Cotechino tradizionale Rizzieri

Personalmente, chi mi conosce e mi legge lo sa, apprezzo l’innovazione, mi piace che si valorizzi la tradizione trasformandola e reinterpretandola… ma non mi piace quando viene totalmente stravolta, quando viene meno il piacere del ricordo.

Comunque sia questo è un mio personalissimo ed opinabile parere, su UN PIATTO specifico all’interno di un’offerta geniale e straordinaria, peraltro si parla di un piatto comunque BUONO e ben eseguito.

Probabilmente ha influito il mio DNA di EMILIANO cresciuto a cotechini… Un retaggio forse troppo forte per permettermi di cogliere con necessario distacco il senso della sperimentazione.

In ogni caso: Avanti sempre con innovazione e tradizione!

5 pensieri su “Il Cotechino di “Piazza Duomo”: il confine tra tradizione e interpretazione

  1. Uly

    Senza alcun dubbio, come si fa a scegliere tra un cibo ” extraterrestre” e un buon brodo della bisnonna: impossibile. Anch´io sono stato allevato a suon battente, di fette di pane, fatte con la farina che si otteneva dal piccolo mulino fatto di tue pietre, quella superiore col piccolo buco dove ci si mettevano i chicchi di grano, e gira e rigira col manico di ferro battuto. Dopo un paio d´ore si ottenevaro due, o tre chili di profumata farina, che dipendendo dall´umiditá del grano, non solo si ottenevano un paio di “panelle” la cui fraganza rimaneva un bel po nell´aria del cortile, ma anche dei taralli, sugna e pepe, coi semi di finicchietto selvático, croccanti, di fattura e sapore indimenticabili. Di cose nuove cé´ne per miriadi, quelle che hanno fatto la storia del nostro paese, sono poche.

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  2. Giorgio

    Nella premessa parli di aggiunta di musetto nel cotechino secondo una vecchia ricetta. Da noi nel veneto,zona Venezia, da sempre si mangia il musetto che ha il sapore che tu dici e che noi diciamo ” el peta (si attacca al palato)”.Ora abito a Ferrara , prima o poi verrò a trovarvi.

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    1. Lorenzo Rizzieri Autore articolo

      Buon giorno,
      si è vero, ogni zona sfrutta le parti in base alle proprie tradizioni. Il problema è che sono tutte ottime ricette.

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